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La risurrezione
e lo stile di vita “azzimo”
del cristiano

“Cristo, il nostro agnello pasquale, è stato immolato” (1 Cor 5, 7)

Pasqua degli ebrei

Fratelli e sorelle!

Risuona oggi questa esclamazione di san Paolo, che abbiamo ascoltato nella seconda lettura, tratta dalla prima Lettera ai Corinzi. È un testo che risale a solo una ventina d’anni dopo la morte e risurrezione di Gesù e tuttavia – come è tipico di certe espressioni paoline – contiene già, in una mirabile sintesi, la piena consapevolezza della novità cristiana.

Qui, il simbolo centrale della storia della salvezza – l’agnello pasquale – si identifica in Gesù, chiamato appunto “il nostro agnello pasquale”. La Pasqua ebraica, memoriale della liberazione dalla schiavitù dall’Egitto, prevedeva il rito annuale dell’immolazione dell’agnello, un agnello per famiglia, secondo la prescrizione di Mosè.

Cristo si fa pane

Nella sua Passione e Morte, Gesù si rivela come l’Agnello di Dio “immolato” sulla Croce per togliere i peccati del mondo. Fu ucciso proprio nel momento in cui era consuetudine macellare gli agnelli nel Tempio di Gerusalemme.

Il significato del suo sacrificio lo aveva anticipato Egli stesso durante l’Ultima Cena, sostituendosi – sotto i segni del pane e del vino – con i cibi rituali della cena pasquale ebraica. Possiamo così dire con verità che Gesù ha compiuto la tradizione dell’antica Pasqua e l’ha trasformata nella sua Pasqua.

Da questo nuovo significato della festa pasquale si comprende anche l’interpretazione degli “azzimi” data da San Paolo. L’Apostolo fa riferimento ad un’antica usanza ebraica, secondo la quale, in occasione della Pasqua, era necessario eliminare dalla casa l’eventuale pane fermentato rimasto.

Fare spazio al nuovo

Da un lato, questo era fare memoria di ciò che era accaduto ai loro antenati al momento della loro fuga dall’Egitto: lasciando il paese in fretta, avevano preso solo fascine non fermentate. Ma, in un altro aspetto, il “pane azzimo” era un simbolo di purificazione: eliminare il vecchio per fare spazio al nuovo.

Ora, spiega San Paolo, anche questa vecchia tradizione assume un nuovo significato, a partire dal nuovo “esodo” che è il passaggio di Gesù dalla morte alla vita eterna. E poiché Cristo, come un vero Agnello, si è immolato per noi, anche noi, suoi discepoli – grazie a Lui e per Lui – possiamo e dobbiamo essere “pasta nuova”, “pane azzimo”, libera da ogni residuo del vecchio lievito di peccato: nessuna malizia o malvagità nei nostri cuori.

Celebriamo, dunque, la festa (…) ma con azzimi di sincerità e di verità“: questa esortazione di San Paolo, che conclude la breve lettura appena proclamata, risuona ancora più forte nel contesto dell’Anno Paolino*.

 

Cristo è veramente risorto

Cari fratelli e sorelle, accogliamo l’invito dell’Apostolo; apriamo lo Spirito a Cristo morto e risorto perché ci rinnovi, perché elimini dal nostro cuore il veleno del peccato e della morte e, in lui, sia infusa la linfa vitale dello Spirito Santo: la vita divina ed eterna.

Nella Sequenza Pasquale, come rispondendo alle parole dell’Apostolo, abbiamo cantato: “Scimus Christum surrexisse a mortuis veresappiamo che Cristo è veramente risorto dai morti”. Sì! Questo è precisamente il nucleo fondamentale della nostra professione di fede; è il grido di vittoria che oggi ci unisce tutti.

E se Gesù è risorto ed è quindi vivo, chi ci può separare da Lui? Chi può privarci del suo amore, che vinse l’odio e vinse la morte?

L’annuncio della Pasqua si diffonde in tutto il mondo con il canto gioioso dell’Alleluia. Cantiamolo con le nostre labbra; cantiamolo soprattutto con il cuore e con la vita: con uno stile di vita “azzimo”, cioè semplice, umile e fecondo di buone opere. “Surrexit Christus spes mea: / precedet vos in Galileam – Cristo è risorto, la mia speranza / ti precede in Galilea”.

Il Risorto ci precede e ci accompagna per le strade del mondo. È la nostra speranza, è Egli la vera pace del mondo. Amen.

 

Papa Benedetto XVI, Omelia di Pasqua del 12 aprile 2009*