L’incredibile storia di Santa Bakhita

Bakhita nacque in Sudan, in Africa, nel 1869. Questo nome, che significa “fortunata”, non lo ricevette dai suoi genitori alla nascita, gli fu imposto dai suoi rapitori.

Fiore africano

Questo fiore africano conosceva le umiliazioni e le sofferenze fisiche e morali della schiavitù essendo stata venduta e acquistata più volte (cinque in tutto). La terribile esperienza e lo spavento, provato nel giorno della cattura, causò profondi danni nella sua memoria, incluso l’oblio del suo nome.

Nella capitale del Sudan, Bakhita fu finalmente comprata da un console italiano che poi la portò in Italia con sé.

Durante il viaggio, la consegnò alla famiglia di un amico che viveva a Venezia e la cui moglie si era affezionata a lei. Poi, con la nascita della loro figlia, Bakhita divenne la sua balia e amica.

Gli affari di questa famiglia in Africa li costrinsero a tornare li. Ma, consigliata dall’amministratore, la coppia affidò le due alle sorelle della congregazione di Santa Maddalena di Canossa, a Schio, vicino a Venezia.

Conversione

Qui, Bakhita conobbe il Vangelo. Era il 1890, aveva ventuno anni quando fu battezzata col nome di Giuseppina.

Dopo un po’, quando vennero a prenderle, Bakhita scelse di rimanere. Voleva diventare una suora canossiana per servire Dio che le aveva dato tante prove del suo amore. Dopo aver sentito molto chiaramente la chiamata alla vita religiosa, nel 1896, Giuseppina Bakhita si consacrò per sempre a Dio che chiamò affettuosamente “il mio Maestro!”.

Per più di cinquanta anni, questa umile Figlia della Carità si dedicò alle varie occupazioni nella congregazione, essendo chiamata da tutti “Suor Morena”.

Umile serva

Lei era cuoca, responsabile del guardaroba, ricamatrice, sacrestana e portinaia. Le consorelle la stimavano per la sua generosità, la sua bontà e il suo profondo desiderio di far conoscere Gesù.

Siate buone, amate Dio, pregate per coloro che non Lo conoscono. Se sapeste che grazia grande è conoscere Dio!

La sua umiltà, la sua semplicità e il suo sorriso costante conquistarono il cuore di tutta la popolazione. Con l’età, arrivò una lunga e dolorosa malattia. Ma continuò a offrire la sua testimonianza di fede, esprimendo in queste semplici parole, nascoste dietro un sorriso, l’odissea della sua vita:

“Vado piano, passo dopo passo, perché porto due valigie grandi: in una i miei peccati, e nell’altra, molto più pesante, i meriti infiniti di Gesù. Quando sarò in paradiso, aprirò le valigie e dirò a Dio: “Tu sei l’eterno Padre, ora puoi giudicare“. E a San Pietro: “Chiudi la porta, perché io resto qui“.

La santa

Nell’agonia rivisse i terribili anni della schiavitù e fu la Santa Vergine a liberarla dalle sofferenze.

Le sue ultime parole furono: “Nostra Signora!“. Suor Josefine Bakhita morì l’8 febbraio 1947 nella congregazione di Schio, in Italia.

Molti furono i miracoli ottenuti per la sua intercessione. Nel 1992 è stata beatificata da Papa Giovanni Paolo II e portata all’onore degli altari nel 2000 dallo stesso Sommo Pontefice. La giornata per il culto della “Santa sorella Morena” è quella della sua morte.

Il corpo della santa è incorrotto ed è custodito nella Chiesa della Congregazione in cui ha vissuto tutta la sua vita.

Secondo la fonte: Vangelo Quotidiano